Abbiamo avuto l’onore di poter porre alcune domande ai ragazzi di 34BigThings, uno dei più promettenti studi di sviluppo italiani in campo videoludico.
Tra i lavori più celebri dello studio, in attività dal 2013, abbiamo sicuramente Redout: Space Assault (di cui vi abbiamo portato la recensione), un titolo che ha riscosso un ottimo successo da parte della critica e degli appassionati.
Prima di lasciarvi alle nostre domande e relative risposte, ci teniamo vivamente a ringraziare sia i ragazzi di Torino per essere stati così disponibili nel concederci questa intervista e, soprattutto, Nintendo Italia che ci ha permesso di realizzarla.
Andiamo con le domande!
- Sono curioso sul nome 34BigThings. Potete spiegarlo?
Il nome ha mille origini e mille ragioni, ma piú di tutto è figlio, come la maggior parte dei grandi nomi, di una notte insonne alla cieca ricerca di un nome e di una storia davvero particolare. 34BigThings nasce come la frase clou, il discorso motivazionale di un nostro vecchio capo con del pessimo inglese che alla fine di un’ottima cena per celebrare il completamento di un progetto ci infilò nel discorso un “big things together”.
Da quel momento è diventato un po’ il nostro motto e ne abbiamo fatto tesoro.
- Un ambiente di lavoro sereno è importante in qualsiasi ambito. Voi riuscite a mantenere con il team un clima coeso e sereno nonostante le scadenze, le difficoltà e gli imprevisti?
Ci proviamo. Diciamo che l’impegno c’è e c’é sempre stato, come in una grande famiglia: con tutti gli alti e bassi del caso, con tutti gli equilibri da trovare dopo ogni cambiamento, ma fintanto che rimaniamo uniti, ce la facciamo sempre. Questo, in fin dei conti, è un problema comune a tutta l’industria creativa, non solo a quella dei videogiochi, ma crediamo fermamente che l’approccio utilizzato possa fare tutta la differenza.
- Parliamo di Redout: Space Assault. Quanto ha influito la cultura arcade degli anni ’80 sul RSA?
Ha certamente influito, d’altronde non siamo altro che la somma delle nostre esperienze e una grossa fetta del nostro staff è videoludicamente cresciuto tra gli anni 80 e 90.
- Arrivate dal successo pazzesco di Redout di qualche anno fa, e si sa che è difficile bissare un ottimo risultato come quello. C’erano delle aspettative, ampiamente rispettate. Ma quanto ha influito tutto ciò, in positivo e in negativo, sulla realizzazione di RSA?
Redout: Space Assault ha avuto uno sviluppo estremamente particolare. É nato come un progetto relativamente piccolo che si è ingigantito per via del potenziale del progetto in cui ci stavamo tuffando, per poi entrare in una metamorfosi completa e rinascere come incarnazione degli arcade anni 80/90, assieme alla co-produzione di Apple. Tutto questo processo ha creato aspettative eterogenee, soprattutto su piattaforme che amplificano la visibilitá di determinati cambiamenti (leggi: Steam), con le conseguenti reazioni da parte degli utenti che aspettavano un gioco diverso.
- Ci sono stati momenti in cui avreste voluto buttare tutto al vento? Quali sono stati gli aspetti più difficili nello sviluppo di RSA?
Purtroppo fare videogiochi è uno dei mestieri piú belli del mondo. Dico purtroppo perché lo stress legato alla percezione di questo lavoro e alla gogna a cui spesso gli sviluppatori sono sottoposti è una componente importantissima della nostra vita. In generale no, difficilmente siamo arrivati al pensare di buttare tutto al vento, ma è anche vero che molti di noi sognano anni sabbatici dove poter sperimentare altre attivitá, spesso fisiche. CI diciamo spesso, scherzando, che vorremmo lavorare il legno, fare il gelato, zappare.
RSA è stato un gioco divertente da costruire. La sfida principale è stata cercare un bilanciamento tra accessibilitá e difficoltá di gioco: RSA è un gioco molto accessibile e molto semplice all’inizio. Nel tempo rimane accessibile, ma non definirei gli ultimi capitoli particolarmente semplici. Creare questa progressione e passarla all’utente senza annoiarlo o stressarlo troppo è la sfida principale in un gioco come RSA.
- Prima le corse futuristiche di Redout, poi le battaglie spaziali di Space Assault. Il prossimo passo?
Espandere l’universo di Redout é una delle nostre prioritá, ma non l’unica: non vogliamo essere ricordati come “lo studio di Redout”, per quanto sia la nostra IP piú importante, al momento. Quindi continueremo a sperimentare verso nuovi generi mentre rinsaldiamo le nostre fondamenta.
- Meglio Wipeout o Star Fox?
Qualcuno dice Star Fox tutta la vita. Altri diranno Wipeout. Domanda polarizzante, risposta conseguente.
- Emergere in Italia non è facile. Voi ci siete riusciti in un settore – quello video ludico – più arretrato rispetto ad altri paesi. Cosa ci vuole per potercela fare?
Tanta voglia di fare quanta ingenuitá: questo é un lavoro in cui si entra per passione e si rimane per divertimento. Nel momento in cui smette di essere particolarmente sfidante, creativo o divertente, bisogna cambiare settore. “Emergere in Italia non è facile” ma é anche poco importante: noi abbiamo iniziato a fare videogiochi perché era quello che volevamo fare e continueremo a farli fintanto che riusciremo a divertirci nel processo.
- Quale consiglio dareste alle nuove leve delle software house italiane?
Ignorate le etichette, ignorate le formalitá, imparate a ignorare tutte le sovrastrutture che appesantiscono qualsiasi processo e concentratevi solo sulle cose che contano veramente. E’ fondamentale divertirsi facendo questo mestiere, se non succede qualcosa non va.